Disfare n.1 | per la lotta contro il mondo-guerra

È uscito il primo numero di “Disfare – per la lotta contro il mondo-guerra”.

Riceviamo e diffondiamo:

Per richiesta di copie: disfare@autistici.org

Scarica il pdf dell’anteprima: disfare_1_anteprima

 

Editoriale

Europa anno zero

Mentre, nello Studio Ovale della Casa Bianca, urla in faccia a Zelensky: «Vai in giro e costringi i coscritti in prima linea perché hai problemi di uomini», JD Vance non fa altro che svelare al mondo intero ciò che per tre anni è stato nascosto dalla propaganda di guerra atlantica, e che viene adesso rinfacciato – strumentalmente e non certo per motivazioni etiche – dal nuovo corso USA, di fronte ad una guerra evidentemente persa e ormai sfacciatamente scaricata sulla popolazione europea. Un’Europa la cui classe dirigente – riaffermando la difesa fino all’ultimo ucraino con la retorica della “pace giusta” – annuncia con patriottismo democratico scellerati piani di riarmo e deterrenza nucleare.

La guerra è l’orizzonte storico terribile del nostro tempo.

In Svezia e Norvegia vengono distribuiti opuscoli e si allargano i cimiteri per predisporre la popolazione all’eventualità di una guerra con la Russia; Von der Leyen dichiara di volere «la pace attraverso la forza»; Macron propone di estendere la force de frappe francese all’Europa; in Lombardia si dispone l’ampliamento delle scorte di iodio nell’eventualità di attacco nucleare; la NATO promuove la mobilitazione della società civile dei paesi alleati nell’Indopacifico per preparare un conflitto con la Cina; l’esercito italiano si prepara ad arruolare quarantamila soldati in più.

In un quadro di interdipendenza tecnologica e finanziaria fra Cina e Stati Uniti, con l’elezione di Trump viene alla luce lo scontro in atto da anni tra la fazione globalista e quella sovranista delle classi dirigenti occidentali. Per sommi capi, la prima è decisa a uno scontro diretto e a qualsiasi costo con la Russia, la seconda favorevole a un’intesa col Cremlino per puntare, nel giro di alcuni anni, direttamente contro la Cina, ma entrambe convergono su un punto preciso: il riarmo europeo (peraltro deciso e annunciato molto tempo prima del ritorno di re Donald). Un gioco di specchi e provocazioni che, mentre potrebbe sfociare da un giorno all’altro nell’annientamento nucleare dell’umanità intera, trasformerà l’Europa, se non in un cumulo di macerie radioattive, in una fortezza blindata e militarizzata, dominata da un’economia di guerra che assorbirà tutte le risorse e le energie sociali.

La guerra del nostro secolo è ibrida, totale, asimmetrica, civile. Il suo campo di battaglia è ovunque.

La guerra del XXI secolo è una guerra senza limiti, che assume forme varie e pervasive. Si snoda tra i flussi energetici, prende la forma di attentati e sabotaggi di Stato, incorpora pienamente il denaro, i mezzi di informazione e i social network. La centralità assunta dalla tecnologia e dallo sviluppo scientifico si riverbera in ogni ambito del conflitto guerreggiato, attraverso droni, applicazioni che coinvolgono la popolazione nei servizi di intelligence (ad esempio per segnalare le posizioni delle unità nemiche), così come con la rivoluzione dell’intelligenza artificiale nelle dottrine militari, che ha un peso e delle conseguenze paragonabili all’invenzione del nucleare. Se l’IA e le tecnologie digitali sono fondamentali per fare la guerra, la ricerca del primato su questi dispositivi alimenta la competizione su scala internazionale per il saccheggio di materie prime e la vampirizzazione energetica. Le ipotesi di “deterrenza batteriologica” e la valenza apertamente militare dei bio-laboratori fanno coincidere guerra guerreggiata e guerra al vivente.

Non per questo vengono meno forme “tradizionali” e sanguinose, riemergenti nei fronti di una guerra mondiale che per ora sarà anche «a pezzi», ma che si delinea sempre più chiaramente come prodotto della crisi dell’egemonia globale statunitense e contesa con i suoi sfidanti, in particolare la Cina. Sul fronte ucraino, la leva di massa e la guerra di posizione ci ricordano quanto avveniva durante la Prima Guerra Mondiale. Sul fronte mediorientale, dove per gli USA mantenere saldo il colonialismo d’insediamento israeliano – sorto come avamposto degli interessi occidentali – significa cercare di preservare il proprio predominio sulla regione, il genocidio sionista a Gaza e in Cisgiordania riporta all’attualità quanto avvenne durante la Seconda Guerra Mondiale. In nessun caso si tratta però di un ritorno del Novecento, bensì del reciproco alimentarsi di progresso tecnico e mobilitazione generale nella guerra totale del XXI secolo.

Il potenziamento della tecnica è oggi l’orizzonte centrale per le forze che si contendono il dominio del mondo.

Con un rovesciamento tra il concetto di mezzo e quello di fine, la tecnica guidata dalla scienza moderna si afferma secondo una propria logica. Il ruolo del sistema satellitare Starlink di Elon Musk – impostosi con la guerra in Ucraina – dà la misura di un protagonismo inedito delle multinazionali dell’high-tech, ma, come in altre fasi della rivoluzione industriale, non viene meno il ruolo dello Stato, che anzi assume una rinnovata centralità. Non è un caso che il Progetto Stargate della nuova amministrazione USA – 500 miliardi per lo sviluppo dell’IA – sia stato paragonato al Progetto Manhattan, quello che portò ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki.

La natura automatizzata del genocidio a Gaza appare come la sperimentazione sui “selvaggi delle colonie” di quello che rischia di accadere ai civilizzati stessi, allo stesso modo in cui il genocidio degli Herero in Namibia da parte del colonialismo tedesco (e l’insieme dei genocidi commessi dalle altre potenze coloniali) precedette e preparò l’attività dei campi di sterminio durante il nazismo. E mentre diventa sempre più chiaro come nell’organizzazione del mondo-guerra vi sia un’umanità eccedente di cui si può fare a meno e che va gestita o eliminata, si sta sdoganando l’idea che si possa fare a meno dell’umanità in quanto tale (come sostenuto apertamente da alcune correnti tecnocratiche tutt’altro che lontane dalle stanze dei bottoni).

La guerra è prima di tutto un fatto di politica interna – e il più atroce di tutti.

Così metteva in guardia Simone Weil, ventiquattrenne, nelle sue Riflessioni sulla guerra (1933), rispetto all’errore di considerare la guerra come un fatto di politica estera. Se i fatti drammatici a cui assistiamo ogni giorno in diretta streaming rischiano di apparirci distanti, la guerra è più vicina di quanto inconsciamente ci auguriamo.

A pochi passi da noi stanno infatti le sue molteplici basi materiali – dai centri decisionali alle fabbriche d’armi e munizioni, passando per snodi logistici che sono parti integranti della logistica militare e un sistema universitario che fa da laboratorio all’industria bellica –, sempre più nutrite da imponenti piani di riarmo. E nel mondo datificato e digitalizzato i confini fra civile e militare sono continuamente superati in entrambi i sensi: una app che oggi viene usata per profilarci come consumatori, pazienti sanitari o “cittadini digitali”, può servire, altrove come qui, per mettere al bando, arruolare, o eliminare una parte di umanità considerata nemica o inutile, mentre i dati che produciamo tutti i giorni sono direttamente al servizio della sorveglianza e degli eserciti.

Se è vero che la guerra parte da qui, è altrettanto vero che la guerra torna indietro. Ritorna come necessità di “pacificare” le retrovie, militarizzandole: la sperimentazione delle “Zone Rosse” dopo Capodanno, il tentativo di varare un codice da legge marziale col Pacchetto Sicurezza (firmato anche dal ministro della Difesa), l’estensione del “modello Caivano” ad altre periferie. Sul piano interno, sono numerose le conseguenze a cascata del conflitto tra gli Stati fatte pagare alle classi dominate – aumento delle bollette, precarizzazione ulteriore del lavoro, fine di quel che rimane del cosiddetto “Stato sociale” – giustificate dalle necessità del riarmo e della difesa nazionale e Europea, con l’utilizzo costante dell’emergenzialità e la militarizzazione delle emergenze. È ciò che abbiamo ampiamente vissuto durante il “periodo pandemico”, in cui la guerra al virus ha predisposto il terreno per la guerra attuale con la sperimentazione su larga scala di una mobilitazione generale.

La guerra totale è contemporaneamente guerra civile globale.

Le condizioni di questa guerra civile sono ampiamente in essere anche alle nostre latitudini, come più d’uno ha affermato già nel secolo scorso. Il venir meno di collanti ideologici, la conflittualità intestina allo Stato e pure alle classi frantumate, sono sintomi che la barbarie non è qualcosa di lontano, ma si dispiega anche all’interno delle mura erette dalla “civiltà” e dal “progresso”. Basti pensare a quanto accade nelle periferie come riflesso della “guerra tra poveri” – italiani contro stranieri, disoccupati contro lavoratori “del nero”, piccoli esercenti autorizzati contro abusivi, regolari contro clandestini, abitanti delle case popolari contro occupanti, cittadini contro rom, antagonisti contro “maranza”… Se poi ci spostiamo nel Regno Unito, vediamo tornare né più né meno che i pogrom (con migranti e islamici al posto degli ebrei e dei rom). Se le insurrezioni e le rivoluzioni moderne sono sempre delle guerre civili, i due termini non coincidono. Oggi siamo precisamente in presenza di una guerra civile ubiqua e orizzontale in assenza di guerra sociale.

Capita però che talvolta il conflitto si esprima verticalmente, come nelle sommosse di George Floyd e poi, con una composizione socialmente diversa, e per certi aspetti opposta, nell’assalto a Capitol Hill (USA, 2020 e 2021: prima proletari di tutti i colori contro padroni e istituzioni, e in particolare contro la polizia; poi una miscellanea di classi, ma tendenzialmente plebee e bianche, contro l’elezione di Biden); negli scontri dei popoli nativi contro il marco temporal dell’agroindustria (Brasile, 2023); nelle sommosse delle banlieues francesi (dal 2005 alle più recenti “rivolte di Nahel”) e, alle nostre latitudini, nelle accese manifestazioni antipoliziesche dopo l’assassinio di Ramy Elgaml a Milano da parte dei carabinieri.

I fenomeni di disintegrazione sociale rappresentano in ogni caso una minaccia per l’ordine costituito, a cui lo Stato risponde in maniera autoritaria, in modo del tutto trasversale alle  tassonomie di governo formali (democrazia vs. autocrazia), senza mediazioni se non quelle offerte dal progresso tecnico. Basti pensare alla digitalizzazione e biometrizzazione delle identità legali, tramite cui l’identità civile diventa indistinguibile da un dispositivo di sorveglianza automatizzato. Oggi il “cittadino” che si rivolta o non obbedisce è sempre più meccanicamente “messo al bando”.

Prendere atto della tendenza alla guerra non significa accettarne l’inevitabilità.

Nonostante la religione dell’ineluttabilità sia il motore del nostro tempo, alcuni segnali sembrano incrinarla. In Ucraina, dopo la sbornia nazionalista, il sostegno alla guerra ha lasciato il posto a forme di renitenza, diserzione e non-collaborazione di massa che pesano non poco sulle sorti di quel conflitto e lasciano intravedere un possibile crollo del fronte occidentale. Nel frattempo, il genocidio a Gaza ha alimentato un movimento globale vasto e articolato che, grazie ad alcune testarde minoranze, ha riscoperto forme d’azione diretta e ha portato l’intifada nei campus statunitensi, facendosi carico di dire il non-detto, cioè il fondamento bellico e genocida del capitalismo occidentale. L’estensione della guerra a tutti gli ambiti della società moltiplica le opportunità di ammutinamento e sabotaggio, offrendo alla variabile umana inedite occasioni di inceppare la macchina mortifera.

La propaganda di guerra – paradossalmente – ha avuto invece presa su alcune minoranze della minoranza antagonista, arrivate a esprimere sostegno a una sedicente, e inesistente, resistenza ucraina, e a esitare, nel contempo, a sostenere la resistenza palestinese, con la totale incapacità di distinguere tra un’ondata nazionalista fomentata e armata dalla NATO (e con autentici nazisti in prima fila, tra Parlamento, squadroni della morte, esercito, polizia, Guardia Nazionale) e una resistenza anticoloniale contro un colonialismo d’insediamento ancora in corso. Se i socialisti parlamentari di un tempo votarono i crediti di guerra, i loro ridicoli e corrotti eredi “progressisti”, dopo un secolo di collaborazionismo di classe, sostengono il piano di riarmo “ReArm Europe” e indicono piazze guerrafondaie “per la libertà”, volte unicamente a sostenere la prosecuzione del massacro in corso in Ucraina.

A centodieci anni dall’entrata in guerra dell’Italia nel Primo Massacro Mondiale e a ottant’anni dalla fine del Secondo sul suolo europeo, sono la storia dell’antimilitarismo rivoluzionario e ancor più quella di chi lo ha abbandonato abbracciando la causa della “guerra giusta” di turno a illuminare tragicamente la strada da percorrere. L’unico modo di sottrarsi a guerre fratricide è assumere la logica del disfattismo e le sue implicazioni, ovvero adoperarsi per la rovina della parte capitalista che ti vuole arruolare e intruppare, e l’unico modo per sottrarre il disfattismo dall’arruolamento da parte del campo capitalista avverso è la logica dell’internazionalismo: quella con la quale ogni sfruttato vede il proprio nemico nel padronato di casa propria, solidarizzando con i propri fratelli e sorelle dall’altro lato del fronte.

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Con questo sguardo sul mondo nasce disfare, bollettino periodico in parte dedicato ad affrontare nodi cruciali per interpretare il fosco orizzonte in cui agiamo, in parte a dare diffusione di testi contro la guerra totale, per lo più inediti in lingua italiana, provenienti dai vari fronti e retrovie del mondo e anche dal passato.

Il bollettino uscirà in quattro numeri annuali, un ritmo oltremodo lento per tenere il passo vertiginoso dell’attualità, ma che ci sembra – oltre che compatibile con le nostre energie – adatto al cristallizzarsi di un pensiero che provi ad avventurarsi oltre la superficie. Ci affidiamo a uno strumento cartaceo, senza escludere che possa essere affiancato da altri mezzi, convinti che nella dimensione digitale tutto sfreccia e poco o nulla si posa, rumore di fondo che non ha più importanza di qualsiasi altro rumore.

Di fronte all’accelerazione di eventi di portata storica che stiamo vivendo, ci sembra utile dotarci di una pubblicazione che possa fornire uno spazio di discussione e in cui possano dialogare fra loro esperienze di lotta e analisi, anche geograficamente lontane e magari divergenti tra di loro, con il desiderio che questo possa stimolare pensiero e azione. Per questo invitiamo chi ci legge a contribuire con testi, grafiche, segnalazioni, critiche, diffusione. Nella speranza che l’accelerazione di questi tempi bui non ci trovi del tutto impreparati.

 

 

marzo 2025.

9 MARZO, BUCAREST (ROMANIA).

Calin Georgescu non è stato ammesso alle elezioni presidenziali che si terranno in Romania a maggio. L’Ufficio Elettorale Centrale ha respinto il suo dossier, formalmente per la sua dichiarazione patrimoniale, che differisce in modo significativo da quella del novembre 2024. Georgescu potrà presentare ricorso. La non ammissione alle elezioni si inserisce in un filone già visto nell’ambito delle democrazie occidentali, volto alla neutralizzazione di leader populisti identificati come “antisistema”. Davanti alla sede dell’Ufficio Elettorale Centrale sono esplosi scontri tra sostenitori di Georgescu e polizia in antisommossa. I manifestanti hanno sfondato le recinzioni e ribaltato un camioncino della rete televisiva DIGI.

1 MARZO, VENEZIA (ITALIA).

Riceviamo e diffondiamo, a proposito del corteo contro la guerra in epoca di carnevale. “Ancora in piazza al fianco del popolo palestinese, anche se l’attenzione cala, la kefiah passa di moda, e i colori palestinesi lasciano il posto ad altre casacche… Il genocidio non è finito, si è “geograficamente spostato”, ma l’infamia in atto continua; (…) Ancora in piazza contro il conflitto in Ucraina, che in tre anni di guerra per gli interessi delle borghesie occidentali, da decenni impegnate per espandersi ad est a danno della Russia (Donbass ed EuroMaiden), ha dimostrato come lo scontro tra poli imperialisti miete vittime tra i proletari russi e ucraini, scaricando i costi economici della guerra sulla classe oppressa europea. Ancora in piazza per ricordare che alla guerra capitalistica si può rispondere solo con la diserzione (…)”. Testo integrale QUI.

9 MARZO, LECCO (ITALIA).

Contributo dei compagni di Assembly alla giornata di discussione contro la reintroduzione della leva obbligatoria in Europa, per il disfattismo anarchico. “In generale, possiamo dire che nulla è cambiato rispetto alla mobilitazione e agli atti di diserzione e rivolta rispetto all’anno scorso, tranne che le persone in strada sono ora un po’ più attive nel combattere i cacciatori di teste, e il desiderio di vendicarsi di coloro che li hanno spinti ad arruolarsi nell’esercito è aumentato tra i militari. Alla fine di febbraio, c’è stato un caso del genere a Voznesensk, nel sud dell’Ucraina: un militare che aveva abbandonato senza autorizzazione l’unità (SZCh), ubriaco, ha lanciato una granata F-1 sul terreno del centro di arruolamento a causa di una lite con la moglie e di una “percezione negativa delle loro attività” (l’esplosione ha messo fuori uso due auto di servizio, l’uomo è stato preso in custodia senza che fosse determinato l’importo della cauzione e ha ammesso la sua colpevolezza). Possiamo dire che la popolazione oggi non è più una mandria di sofferenti plagiati e che il regime sta iniziando a sentire la terra bruciare sotto i piedi? Sì, possiamo, ma con molta cautela, quasi come affermare che i coccodrilli stanno volando. Il pubblico, stanco della guerra, preferisce affidarsi a Trump e Musk, dimostrando la stessa mentalità coloniale dei Maidanisti da loro odiati: “finalmente è arrivato un buon padrone d’oltremare invece di uno cattivo, risolverà tutti i nostri problemi per noi e ci salverà dall’oppressione della banda verde [Zelensky e i suoi accoliti]. E finché le forze speciali americane non arriveranno a prendere d’assalto l’ufficio presidenziale, dovremmo nasconderci, sederci e aspettare“. Noi ne abbiamo scritto una settimana fa: “Per la generazione precedente, intrappolata nelle trincee del tritacarne “di posizione”, tre anni dal momento in cui era iniziata la guerra erano stati sufficienti per realizzare la Rivoluzione di febbraio attraverso uno sciopero generale e la presa della capitale da parte dei soldati ribelli, nonché per scuotere la sedia sotto Kerenskij, che chiedeva di continuare a combattere. Né la mancanza di Internet, né l’analfabetismo della maggioranza della popolazione, né il sostegno alla continuazione della guerra da parte degli alleati dell’Intesa hanno impedito questi eventi. Senza andare in un passato così lontano, a gennaio di quest’anno c’è stato il terzo anniversario della rivolta della classe operaia del Kazakistan, annegata nel sangue dalle forze di sicurezza locali con il supporto dell’esercito russo e su richiesta del capitale occidentale. Per molti versi, è stato un esempio di come non agire, ma questo è il suo valore: come primo tentativo di rivoluzione sociale nei paesi post-sovietici . Qualcuno è interessato a studiare questa esperienza? Nessuna unione di massa per difendere anche i più basilari diritti umani nella Repubblica Antipopolare dell’Invincibilitistan si è ancora osservata, e poche persone vogliono anche solo discuterne al momento. Il paziente è più morto che vivo”. Naturalmente, possiamo anche aggiungere che un mese fa il primo agente di arruolamento è stato ucciso nella regione di Poltava. Sebbene non abbia cambiato nulla, forse i cacciatori di teste hanno iniziato a operare un po’ più attentamente.”

14 MARZO, TORINO (ITALIA).

“Life Not War” è la scritta dipinta sulla ciminiera all’interno del quartier generale di Leonardo Spa, in corso Francia a Torino. Protesta degli attivisti di extinction rebellion a pochi giorni dall’approvazione del piano ReArm Europe proposto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per investire nella difesa e riarmare l’Europa.

 

15 MARZO, TRENTO (ITALIA).

Contro le piazze guerrafondaie “per la libertà” lanciate dai sinistri, segnaliamo: “Questo sabato 15 marzo ci sarà anche a Trento una “piazza per il riarmo europeo”, convocata dal giornale “Il Dolomiti”. Vi prenderà parte – tra gli altri politicanti – anche l’immondo sindaco Ianeselli (PD), già responsabile della devastazione ad alta velocità di Trento e dintorni. Chi odia le guerre dei padroni e non intende pagarle con decenni di lacrime e sangue è chiamato a scendere in piazza”.

14 MARZO, ODESSA (UCRAINA).

Uno dei principali esponenti dell’estrema destra ucraina e delle sue squadracce, Demian Hanul, è stato assassinato a colpi di pistola. Il sospettato, al momento detenuto, è un disertore dell’esercito. “Il 23 febbraio 2025 il sospettato era stato messo nella lista dei ricercati come persona che ha arbitrariamente abbandonato l’unità militare“, ha dichiarato il capo della polizia ucraina.

FEBBRAIO, (RUSSIA).

Gli Yupik, anche conosciuti come Eschimesi, sono una popolazione nativa nell’estremo est della Russia, già colonizzata e oggi ulteriormente decimata dalla guerra in Ucraina. Le comunità erano già in pericolo per la competizione intorno alle preziose risorse naturali e per la crescente militarizzazione dell’Artico che coinvolge Stati Uniti, Cina e Russia. Le abilità nella caccia dagli uomini li hanno resi allettanti per la macchina da guerra e un numero proporzionalmente significativo è stato costretto a combattere in Ucraina. “Ci sono probabilmente 20 ragazzi del mio villaggio che combattono per la Russia, e cinque sono morti finora“, ha dichiarato un membro di una comunità intervistato da Metro. “Ci siamo trovati a vivere in insediamenti trattati come una superficie per attività nucleari e altre attività militari e per l’estrazione di risorse naturali“.

febbraio 2025.

3 FEBBRAIO, (USA/EUROPA).

La predazione del sottosuolo in Ucraina (il cd. “scudo ucraino”) e la guerra delle materie prime. Trump: “Terre rare ucraine in cambio degli aiuti USA alla difesa“. Scholz: “Egoistico, le terre rare vengano usate per la ricostruzione dell’Ucraina“. Le terre rare, 17 elementi chimici fondamentali per lo sviluppo del capitalismo digitale e green. Dal nucleare “pulito” ai pannelli fotovoltaici, dall’industria militare alla diagnostica medica, dalle auto elettriche all’aerospazio, passando per la produzione di batterie, smartphones, microchip.

8 FEBBRAIO, CATANIA (ITALIA).

E’ nella continuità tra pace capitalista e guerra guerreggiata che va compresa l’importanza di difendere la possibilità dell’umano gesto di rifiuto. La guerra è qui ed è ovunque, non solo perchè il treno o la nave di passaggio nei luoghi in cui viviamo possono trasportare merci tra cui armi e munizioni, la ricerca scientifica che si produce in Università è al servizio della guerra, ma anche perchè un dispositivo funzionale a profilarci in quanto “consumatori” o “cittadini”, può servire a sorvegliarci e, all’occorrenza, metterci al bando o puntarci addosso un missile. Il rifiuto popolare della guerra, tuttavia, è grande, la forza sta nelle mani e nel cuore di ciascuno di noi. Per questo gli Stati cercano di serrare i ranghi della popolazione. Prendendo esempio dalle decine di migliaia di atti di diserzione e rivolta che avvengono sul fronte della guerra in Ucraina, che cosa può significare disertare qui, nelle retrovie, tra noi che non siamo direttamente chiamati alle armi ?

 

11 FEBBRAIO, KRYVYJ RIH (UCRAINA).

A Kryvyj Rih, storico polo dell’industria del ferro e città natale di Zelensky, la popolazione rimasta senza riscaldamento da novembre è scesa in piazza per protestare. Inizialmente circa 130 mila residenti, scuole e ospedali, erano rimasti senza riscaldamento. Oggi circa 600 case rimangono senza riscaldamento. La gente ha bloccato una strada nel quartiere storico di Kres, chiedendo un incontro con il direttore dell’ente gestore del gas. Molti commentatori informati in questi mesi hanno sostenuto che molte città in Ucraina sono a rischio crollo del sistema di riscaldamento. “C’erano problemi con il riscaldamento prima. Ma quest’anno hanno deciso di non fare nulla. Hanno dissotterrato le tubature in estate e non hanno fatto nulla. La Naftogaz non ha stanziato fondi, le autorità locali si sono ritirate” ha affermato alla BBC il presidente dell’Unione dei consumatori dei servizi pubblici, Oleg Popenko.

13 FEBBRAIO, RETE.

Gli hackers di 3AM rivendicano di aver colpito l’azienda capofila dell’industria di guerra italiana, a controllo pubblico, Leonardo Spa, tramite attacco ransomware a due suoi fornitori: Cae (gigante canadese del settore aerospaziale) e Rotorsim (joint venture tra Cae e Leonardo). Non è ancora chiaro quali dati aziendali siano stati hackerati.

13 FEBBRAIO, SAN PIETROBURGO (RUSSIA).

Sulla recinzione vicino alla chiesa Spaso-Konyushennaya è apparsa una scritta contro la guerra: “Non voglio abituarmi alla guerra”.

19 FEBBRAIO, (RUSSIA).
Recentemente ameno 63 persone provenienti dal continente africano sono state inviate al fronte dalla regione di Pskov, di cui 12 oggi. Non è la prima volta che i migranti vengono reclutati per rimpinguare le unità militari. In cambio di un contratto con il Ministero della Difesa, viene loro promesso un iter accelerato per ottenere la cittadinanza russa. Alcuni stranieri vengono reclutati sotto le mentite spoglie di un contratto di lavoro o di servizio in strutture di sicurezza. Dopo aver firmato il contratto, vengono mandati al fronte. Sono noti casi di reclutamento di migranti provenienti da India, Nepal, Iraq, Zambia e Cuba.
20 FEBBRAIO, KIEV (UCRAINA).
Presso l’ambasciata statunitense a Kiev è in corso una protesta – probabilmente in cambio di soldi, affermano i nostri contatti locali – contro il potente capo del gabinetto presidenziale ucraino, Andriy Yermak, noto come “Cardinale verde” di Kiev. I manifestanti, sventolando bandiere statunitensi, si sono rivolti al Presidente e al Segretario di Stato USA chiedendo loro di non avviare alcuna trattativa con Yermak. “L’Ucraina sta precipitando nell’abisso e Andriy Yermak è al timone. Mentre l’esercito combatte e la popolazione sopravvive, Yermak e il suo seguito si arricchiscono. È ora di porre fine a tutto questo!” Aggiornamento: i manifestanti sarebbero stati tutti arrestati. Questa protesta avviene in concomitanza con le ultime dichiarazioni di Trump dall’Air Force One: “È ora che l’Ucraina indica elezioni. E vogliamo sapere dove sono finiti i soldi che abbiamo mandato.
20 FEBBRAIO, TORINO (ITALIA).
Studenti occupano il Politecnico “contro i signori della guerra” in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico in cui è prevista la presenza del Ministro Tajani. Nel contesto di guerra, si legge nel testo fatto girare dagli studenti, “il Politecnico rappresenta la punta di diamante, la sua centralità strategica si manifesta attraverso la stretta collaborazione con aziende come Leonardo che traggono spropositati guadagni grazie alle guerre che stanno insanguinando ogni angolo della terra”. La presenza di Tajani è prevista per la mattina di venerdì 21 febbraio alle 9. Al momento tutti gli ingressi del Politecnico sono militarizzati, mentre gli studenti che hanno passato la notte nell’ateneo stanno bloccando gli accessi all’Aula Magna.
15 FEBBRAIO, SAVONA (ITALIA).
C’è stato un attentato terroristico di Stato in Liguria e non ce ne siamo accorti. La notizia continua a passare in sordina. A poche centinaia di metri dal porto di Vado Ligure (Savona), la petroliera “Seajewel” battente bandiera maltese è stata colpita da una doppia esplosione che ha causato una grossa falla. La petroliera non è saltata in aria né ci sono state fuoriuscite di petrolio in mare, ma l’attacco si configura come un “avvertimento” di Stato a dir poco inquietante. La questione riguarda l’ormeggio della “flotta fantasma” russa. Difficile non rilevare la sorta di rivendicazione dell’attentato pubblicata sull’Ukrainska Pravda il 17 febbraio: “Ship violating sanctions by transporting Russian oil to Europe struck by explosion in Italy”. Se le bombe su una petroliera con capacità di carico superiore alle 100mila tonnellate, a poca distanza dalla costa, avessero squarciato la chiglia come nell’intento di chi le ha posizionate, le conseguenze sarebbero state devastanti.
26 FEBBRAIO, BUCAREST (ROMANIA).
Il candidato alla presidenza Călin Georgescu è stato arrestato mentre andava a ricandidarsi. Il 6 dicembre la Corte Costituzionale rumena aveva infatti annullato le elezioni vinte da Georgescu. I rapporti dell’intelligence sostenevano che la sua campagna elettorale su TikTok portasse i segni di una “interferenza russa”. Tuttavia, l’Agenzia nazionale per l’amministrazione fiscale della Romania (ANAF) ha successivamente rivelato che la campagna fosse finanziata dal Partito nazionale liberale (PNL) filo-europeo. Politico di estrema destra, Georgescu definisce “eroi” l’ex dittatore filo-nazista rumeno Ion Antonescu e Zelea Codreanu, fondatore della razzista e antisemita Guardia di ferro. Georgescu gode di molta popolarità tra le masse che vedono nell’Unione Europea un nemico. E’ apprezzato anche dall’amministrazione Trump, tanto che il vicepresidente USA, JD Vance, nei giorni scorsi ha dichiarato che la Romania non può avere “valori comuni” con Washington “se si annullano le elezioni perché non ci piace il risultato”. L’annullamento delle elezioni si inserisce in un filone già visto nell’ambito delle democrazie occidentali, volto alla neutralizzazione di leader populisti identificati come “antisistema”. I capi d’accusa nei confronti di Georgescu sono almeno sei. L’uomo è stato interrogato per quattro ore prima di essere rilasciato e posto sotto controllo giudiziario per 60 giorni (non potrà lasciare il paese) . A Bucarest si è radunata una grande folla, che lo ha atteso fino alla sua ricomparsa.

FEBBRAIO, (USA-UCRAINA).
Elemento centrale nella rissa andata in scena nello studio ovale, la diserzione, fattore determinante nel crollo del fronte occidentale.Vai in giro e costringi i coscritti in prima linea perché hai problemi di uomini” si sente JD Vance dire, strumentalmente e non certo per preoccupazioni etiche, a Zelensky. Questa la situazione in Ucraina nelle ultime settimane, tra rastrellamenti in strada e resistenza, nel video postato da un noto blogger liberal della sinistra ucraina, emigrato.
26 FEBBRAIO, MARSIGLIA (FRANCIA).
Residenti del 15° e 16° arrondissement di Marsiglia si sono mobilitati contro il progetto del colosso britannico Segro, che vuole costruire una piattaforma logistica e un datacenter in una zona già oggetto di numerosi interessi logistici, dal porto all’autostrada. A Marsiglia la proliferazione di datacenter – oggetto fondamentale per alimentare il mondo-guerra in cui viviamo – è legata al fatto che sedici cavi sottomarini intercontinentali arrivano oggi in questa città, collegando l’Europa all’Asia, al Medio Oriente, all’Africa e agli Stati Uniti. Sono questi cavi intercontinentali che consentono alle informazioni digitali, al Cloud, all’Intelligenza Artificiale di funzionare. In Italia è l’area di Milano ad essere ormai satura di datacenter, tanto che oggi è Torino a veder aumentare l’interesse per nuovi investimenti, oltre ai 10 datacenter già presenti in città.